Roberto Vecchioni: “De Andrè oggi non lo ascolterebbe nessuno. La perdita di un figlio? Tampono il dolore con le gioie della vita”

CERNOBBIO (Como) – “Non è più il tempo dei Guccini e dei De Andrè”. Parola di Roberto Vecchioni, in concerto domenica sera a Cernobbio sotto la luna del Lake Sound Park a Villa Erba. “È il tempo di canzoni carine, estive, anche piacevoli come l’ultima di Annalisa, ad esempio. Ma è tutta un’altra comunicazione rispetto alla nostra e bisogna entrarci dentro”, spiega lui, in con certo pure al Piazzale del Foro Boario di Edolo l’8 agosto e a al Castello Sforzesco di Vigevano il 3 settembre. “Un De And rè oggi non sarebbe neppure ascoltato. Insegnando all’università, ho avuto modo parlare di lui e nessuno sapeva chi fosse. Nessuno. Sì, qualche studente conosceva ‘La canzone di Marinella’, ma solo quella. E parlo di ventenni. Quando i ragazzi hanno scoperto che quarant’anni fa qualcuno cantava già le cose che pensiamo oggi, sono rimasti sbalorditi. Così li ho esortati ad ascoltare Cohen, i Beatles, gente che con la propria musica diceva realmente qualcosa”.
Tempi duri.
“Eppure, i miei concerti sono pieni. Sempre due-tremila persone, non mi sogno certo di andare oltre. D’altronde il mondo è una struttura. E quando cambia la struttura politica ed economica cambia anche quella morale, religiosa, artistica. Ecco perché oggi non possiamo avere quella di 50 anni fa. Non è possibile. Neppure pensabile in un’Italia che per il 50% non vota. Mi viene persino da dare ragione (non certo politica, ma diciamo etica) a quelli di destra che almeno lo fanno. Votano un mondo fatto su misura per loro, ma si esprimono. Non è che se ne stanno con le mani in mano a dire: non me ne frega niente, coltivo il mio orticello e basta”.
Ricordi importanti?
“Quelli di tutti. Quando nascono i figli, quando incroci per la prima volta lo sguardo della donna della tua vita e capisci che è proprio lei. Ma ricordi importanti sono pure quelli tragici. Ad alcuni, come la morte dei genitori, sei preparato. Alla morte di un figlio no. A quella non sei preparato mai. A me e Daria è accaduto. Sono passati due anni e mia moglie non riesce ad andare oltre, continua a stare male. Io riesco meglio a tamponare i dolori con le gioie della vita. Avere quattro nipoti, ad esempio”.
Parliamo dei ricordi bellissimi, allora.
“Della vittoria di Sanremo nel 2011 ho ancora un ricordo fantastico. Pure la prestazione al Festival dell’anno scorso con Alfa in ‘Sogna ragazzo sogna’ me la porto nel cuore, perché forse è arrivata a completare un qualcosa che era rimasto a metà. Tant’è che, 25 anni dopo, è arrivato pure un doppio disco d’oro (per versione cantata da solo e per quella in coppia, ndr). Dopo il duetto una signora, incontrandomi per strada, m’ha fatto i complimenti per la mia ‘ultima canzone’ e quando le ho fatto notare che aveva 25 anni mi ha risposto: ‘Grazie, ma in realtà ne ho 50’. Non sono riuscito a trattenermi dal ridere”.
Il Professor Vecchioni continua ad andare forte.
“Il 2024 è stato un anno bellissimo, in 60 concerti avrò avuto davanti almeno 200mila persone. E pure questo è molto vissuto. Sono cinque anni che non faccio un disco, ma ho già scritto 8 pezzi per il nuovo: uscirà nel 2026. Anche se penso che l’ultimo, ‘L’infinito’, sia stato quello definitivo; un album totale, un atto d’amore per la vita pazzesco. Una ragazza sta scrivendoci sopra un libro e non vedo l’ora di leggerlo”.
Visto che ogni album è figlio del proprio tempo, lei i suoi li rifarebbe tutti?
“Penso che uno o due non siano stati in gran sintonia coi propri anni. ‘Rotary Club of Malindi’ del 2004, ad esempio, che non ho mai amato troppo. Non mi sembra politicamente azzeccato. Gli ultimi invece mi piacciono tutti, a cominciare da ‘Di rabbia e di stelle’ o ‘Io non appartengo più’. Belli pure ‘Il lanciatore di coltelli’ del 2002, con gli arrangiamenti di Mauro Pagani, e un disco assolutamente femminile come ‘Il cielo capovolto’ del ‘95. Meno a fuoco alcuni degli anni Settanta, compreso ‘Robinson, come salvarsi la vita’ nonostante il successo. A riascoltarli oggi, pure gli ultimi incisi per la Cgd (‘Bei tempi’, ‘Ippopotami’, ‘Milady’, ndr) non mi sembrano validissimi”.
La sua produzione discografica è andata di pari passo con quella letteraria. Tant’è che è appena tornato in libreria col viaggio attorno alla parola de “L’Orso bianco era nero”.
“L’idea ce l’avevo in testa da cinquant’anni, però avevo paura a concretizzarla perché rischiavo di scrivere un volume troppo colto o una ca**ta. Quando ho trovato la via giusta, è andata. La parola è a doppio taglio, può essere bianco e nera, puoi intenderla in un modo e in un altro, è così pure la frase. Come diceva de Saussure, la parola è veramente lo specchio della nostra duplicità”.
A 82 anni cosa vorrebbe indietro dal tempo?
“Mi sarebbe piaciuto far arrivare certe mie cose alla gente po’ prima; dover aspettare gli 80 anni per veder capita ‘Sogna ragazzo sogna’, canzone in sé facilissima, è un po’ tanto. Per il resto sono felice della mia attività artistica, perché ho sempre fatto quel che desideravo. Mi reputo una persona fortunata. E, se metto la mia vita sul piatto della bilancia, di sicuro i dolori sono più delle gioie… ma pesano meno”.
Il Giorno